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Carabinieri: l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Palermo nei confronti di Andrea Bonafede

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TRIBUNALE Dl PALERMO Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari

Il Giudice Dotto Alfredo Montalto

esaminata la richiesta in data 23 gennaio 2023 del Pubblico Ministero nelle persone del Procuratore della Repubblica Dott. Maurizio de Lucia, del Procuratore Aggiunto Dott. Paolo Guido e del Sostituto Procuratore Dott. Pierangelo Padova nel procedimento n. 841/2023 R.G.N.R. per l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di:

BONAÊFfDE Andreaynato a Campobello di Mazara (TP) il 23 ottobre 1964, ivi residente.in viaMarsala n. 54, difeso di fiducia dall’Avv. Aurelio Passanante del Foro diMarsala, indagato per il seguente reato:

    del delitto previsto dall’art. 416 bis, commi I, II, III, IV, V e VI c.p., per aver fatto parte, unitamente a Matteo MESSINA DENARO e ad ad altre persone non ancora identificate, della associazione mafiosa “cosa nostra” e per essersi, insieme, avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione delle consultazioni elettorali, e per avere in particolare Andrea BONAFEDE contribuito a far sì che Matteo DENARO potesse continuare a svolgere le proprie funzioni direttive nonché a protrarre la propria condizione di latitante nonostante l’insorgere di una grave patologia oncologica consentendo al predetto MESSINA DENARO, in particolare ma non esclusivamente:

    • di acquisire l’identità del BONAFEDE, a tal fine cedendogli la propria carta di identità n. AX2526820, sulla quale veniva apposta la fotografia del MESSINA DENARO, così permettendo in particolare al latitante di muoversi sul territorio eludendo i controlli delle forze dell’ordine nonché di accedere alle cure del Sistema sanitario nazionale senza disvelare la propria reale identità;
    • di ottenere la disponibilità della abitazione Sita in Campobello di Mazara, via CB n. 31 , che il BONAFEDE acquistava in data 15 giugno 2022 e cedeva a Matteo MESSINA DENARO affinché egli potesse dimorarvi con continuità per almeno sei mesi;

    – di acquistare, in data 10 gennaio 2022 1′ autovettura Alfa Romeo Giulietta targata GA 785 KL utilizzando i documenti forniti da Andrea BONAFEDE, così da poter disporre di un mezzo autonomo di locomozione da utilizzare per i propri

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    spostamenti riducendo il rischio di destare sospetti in occasione di controlli stradali;

    • di ottenere la disponibilità di almeno due autovetture (una Fiat 500 Lounge tg. FW089LV ed una Alfa Romeo Giulietta targata GA785KL) che il NESSINA DENARO acquistava utilizzando la carta di identità fomitagli dal BONAFEDE nonché la carta di identità n, AY5137259 di Giuseppa CICIO, anziana madre del BONAFEDE medesimo.

    Commesso nella provincia di Trapani e in altre zone del territorio nazionalefino al 16 gennaio 2023.

    OSSERVA

    La richiesta del Pubblico Ministero qui in esame muove dalle investigazioni che sono seguite all’arresto, in data 16 gennaio 2023, di Messina Denaro Matteo, noto esponente di vertice dell’associazione mafiosa “cosa nostra”, responsabile di innumerevoli efferati delitti per i quali ha riportato condanne irrevocabili, rimasto latitante per quasi un trentennio ed infine, appunto, catturato all’esito di una brillante operazione di polizia.

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    Le dette indagini, in particolare, sono state, innanzitutto, dirette, come sempre accade ed è accaduto (tranne che in un noto eclatante caso, che, appunto, per la sua anomalia, ha dato luogo ad innumerevoli vicende giudiziarie ancora non definitivamente conclusesi) alla ricerca ed individuazione dei luoghi in cui il Messina Denaro trascorreva la latitanza e, nel contempo, alla individuazione dei soggetti a lui più vicini.

    Tra questi soggetti, è emersa, immediatamente la figura dell’odierno indagato Bonafede Andrea, cui, d’ altra parte, risultava intestata la carta d’ identità utilizzata dal latitante ancora al momento del suo arresto.

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    Orbene, ai fini della ricostruzione dei fatti che hanno dato origine alle investigazioni e, poi, dello sviluppo delle investigazioni medesime sino alla formulazione della richiesta di applicazione della misura cautelare personale in esame, appare opportuno, comunque, riportare qui di seguito quanto esposto dal Pubblico Ministero perché del tutto corrispondente, in termini fattuali, alle risultanze probatorie in atti.

    “Questa richiesta trae alimento dalle indagini — compiutamente descritte nell’informativa n. 19/8-4-1 di prot. del 18 gennaio 2023 del R.o.s. dei Carabinieri, alla quale si farà frequente riferimento nel corso dell’esposizione — avviate nelle ore immediatamente successive alla cattura di Matteo MESSINA DENARO, come è noto avvenuta nella mattinata del 16 gennaio 2023 dopo una latitanza durata quasi trenta anni.

    Gli accertamenti, svolti con straordinaria rapidità ed accuratezza dalla polizia giudiziaria e condensati efficacemente nell’informativa citata e nelle altre informative successive, hanno consentito di comporre un mosaico indiziario di indubbia chiarezza che, per quanto rileva in questa sede, può così sintetizzarsi:

    – grazie alle intercettazioni in corso nei confronti dei familiari più stretti del latitante, si apprendeva che Matteo MESSINA DENARO era molto probabilmente affetto da una patologia oncologica che aveva reso indispensabile rivolgersi a strutture sanitarie specializzate;

    • veniva quindi avviata una complessa manovra investigativa finalizzata a verificare se vi fossero soggetti residenti nella Sicilia occidentale che potessero corrispondere al “profilo” di Matteo MESSINA DENARO per età, sesso e patologia;

    si giungeva così alla individuazione del nome di Andrea BONAFEDE, nato a Campobello di Mazara il 23 ottobre 1963, che, il 13 novembre del 2020, risultava essere stato sottoposto ad una operazione chirurgica destinata alla rimozione di un tumore maligno del sigma presso l’ospedale “Abele Ajello” di Mazara del Vallo (si veda in particolare la pag. 10 dell’informativa citata del 18 gennaio 2023 per la completa ricostruzione del percorso diagnostico terapeutico seguito dal sedicente BONAFEDE, nell’ambito del quale merita di essere evidenziato che il predetto risultava anche essere stato sottoposto, il 4 maggio 2021 ad una operazione di epatoctomia parziale presso la clinica “La Maddalena” di Palermo);

    – tali acquisizioni, lette congiuntamente ai dati di traffico generati dalle utenze radiomobili in uso ad Andrea BONAFEDE, dati dai quali emergeva la produzione di traffico telefonico in territori non compatibili con quelli dove il presunto paziente BONAFEDE si sarebbe dovuto trovare per sottoporsi ai delicati interventi chirurgici sopra ricordati, fornivano una prima, significativa conferma che l’identità del “paziente BONAFEDE” potesse in realtà celare quella del latitante Matteo MESSINA DENARO.

    Orbene, dagli accertamenti che ora si esporranno, come detto svolti dalla polizia giudiziaria nelle ore immediatamente successive all’arresto di Matteo MESSINA DENARO, emergeva che Andrea BONAFEDE, con le condotte descritte nella contestazione provvisoria, ha consapevolmente “ceduto” la propria identità a Matteo MESSINA DENARO e gli ha consentito di preservare il proprio status di latitante e, conseguentemente, di continuare a ricoprire il proprio ruolo direttivo nell’associazione mafiosa.

    Superfluo rimarcare, quindi, che si tratta di condotte di assoluto rilievo strategico per l’attività dell’associazione mafiosa, che non hanno solo consentito ad un suo esponente di vertice di sottrarsi alle ricerche decennali ma, prima ancora, di continuare a svolgere il proprio ruolo di “capo”

    Dalle indagini della polizia giudiziaria — peraltro pienamente confermate dalle pur parziali ammissioni del BONAFEDE in sede di interrogatorio, sulle quali si tornerà tra breve — è infatti emerso che l’odierno indagato:

    • ha ceduto al pericolosissimo latitante il proprio documento di identità affinché costui potesse apporvi la propria fotografia. Addirittura superfluo rimarcare che si tratta proprio del documento utilizzato da MESSINA DENARO per accedere sotto falso nome alle cure del servizio sanitario nazionale almeno a partire dal 13 novembre 2020. Documento che, del resto, è stato rinvenuto nella materiale disponibilità del latitante al momento dell’arresto e contestualmente sequestrato;
    • ha acquistato, in nome proprio ma per conto del MESSINA DENARO, un appartamento sito in Campobello di Mazara, via CB 31 n. 4 con il denaro contante appositamente fornitogli dal MESSINA DENARO medesimo. Denaro che il BONAFEDE aveva versato sul proprio conto corrente postale al fine di chiedere l’emissione di un assegno circolare da utilizzare all’atto della stipula del rogito notarile. A seguito di ciò, Matteo MESSINA DENARO ha ottenuto dunque la disponibilità di un immobile che risultava intestato ad una persona non ricompresa nel proprio entourage più ristretto e dunque di un “covo” sicuro nel quale trascorrere la propria latitanza.

    Orbene, in data 16 gennaio 2023, come si è accennato, il BONAFEDE è stato sottoposto ad interrogatorio ed ha risposto alle domande formulategli limitandosi, in buona sostanza, ad ammettere i fatti ormai innegabili, alla luce degli accertamenti documentali effettuati, ed a rendere dichiarazioni tese, a ben vedere, a minimizzare la portata degli elementi probatori acquisiti.

    Nel richiamare integralmente il verbale di interrogatorio, deve porsi in risalto che il BONAFEDE, pur ammettendo di aver ceduto il proprio documento a Matteo MESSINA DENARO e di aver acquistato a vantaggio del latitante una unità immobiliare, ha dichiarato, in sintesi:

    • di avere incontrato casualmente Matteo MESSINA DENARO circa un anno prima per strada a Campobello di Mazara e di avere ricevuto in quella occasione una prima richiesta di aiuto in ragione dei gravi problemi di salute di cui il latitante affermava di soffrire;
    • di avere nuovamente incontrato il latitante, previo accordo in tal senso, un paio di giorni più tardi e di avere, anche in tale occasione, ricevuto una nuova richiesta di aiuto, che sarebbe dovuto consistere nella cessione dei documenti del BONAFEDE per potersi curare. A tale richiesta, il BONAFEDE acconsentì e, in una successiva occasione, avrebbe consegnato al latitante la propria tessera sanitaria e la propria carta di identità, che in una successiva occasione gli sarebbe stata restituita;
    • di avere successivamente ricevuto anche una richiesta di ospitalità, che sarebbe dovuta consistere nell’acquisto a proprio nome di una abitazione. Richiesta che il BONAFEDE accoglieva, al pari delle precedenti, provvedendo ad acquistare un appartamento sito in Campobello di Mazara, nella via CB n. 31, con il denaro (circa 15 mila euro in contanti) che il MESSINA DENARO ebbe a consegnargli e con il quale il BONAFEDE ottenne l’emissione di un assegno circolare dopo averlo versato sul proprio conto corrente postale;

    – di avere chiesto ad un medico di base con studio in Campobello di Mazara, indicato come “dott. TAMBURELLO o TUMBARELLO”, di emettere alcune ricette nell’interesse di Matteo

    MESSINA DENARO, precisando tuttavia di non avere rivelato al medico l’identità del soggetto realmente interessato alle prestazioni oggetto delle ricette.

    Orbene, gli accertamenti scrupolosamente svolti dalla polizia giudiziaria hanno fornito importanti riscontri alle ammissioni del BONAFEDE:

    • in primo luogo, il fatto che l’unità immobiliare Sita in via CB 31 n. 4 è stata effettivamente acquistata da Andrea BONAFEDE in epoca compatibile con quanto dallo stesso affermato: il 15 giugno 2022 e dunque circa sei mesi or sono (si veda l’allegato n. 1) all’aggiornamento investigativo del 19 gennaio 2023);
    • in secondo luogo, il fatto che tale unità immbiliare sia effettivamente stata utilizzata da Matteo MESSINA DENARO per trascorrere la propria latitanza (si veda l’allegato n. 2) all’aggiornamento investigativo da ultimo citato per la dettagliata descrizione del rinvenimento, nell’appartamento in questione, di beni di consumo acquistati poco prima da Matteo MESSINA DENARO;
    • in terzo luogo, il fatto che Matteo MESSINA DENARO, al momento del suo arresto, sia stato trovato in possesso della carta di identità rilasciata in favore di Andrea BONAFEDE, sulla quale era stata sostituita la fotografia originale giust’appunto con quella di Matteo MESSINA DENARO (allegato n. 3).

    Il quadro che emerge dalle indagini della polizia giudiziaria (pagina 10 dell’informativa n. 19/84-1 di prot. del 18 gennaio 2023 del R.o.s. dei Carabinieri) consegna però almeno due elementi radicalmente incompatibili con la ricostruzione effettuata da Andrea BONAFEDE in sede di interrogatorio:

    • in primo luogo il fatto che, come si è or ora evidenziato, la carta di identità che il BONAFEDE ebbe a consegnare al MESSINA DENARO è stata trovata in possesso di quest’ultimo al

    momento del suo arresto, di tal che risulta smentita l’affermazione secondo la quale il MESSINA DENARO avrebbe restituito il documento al BONAFEDE;

    • in secondo luogo, ma è senza dubbio il dato di maggiore rilievo, il fatto che Matteo MESSINA DENARO, utilizzando l’identità di Andrea BONAFEDE, sia stato sottoposto ad un primo intervento chirurgico già in data 13 novembre 2020 e dunque quasi due anni prima rispetto al presunto primo incontro di Matteo MESSINA DENARO con Andrea BONAFEDE, che quest’ultimo, come si è detto, colloca intorno alla metà del 2022 (e cioè circa sei mesi prima dell’arresto di Matteo MESSINA DENARO).

    Ma vi è di più.

    Il 19 gennaio 2023, il Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo, grazie alla meritevole segnalazione di un rivenditore di autovetture, sottoponeva a sequestro alcuni documenti dai quali, in sintesi, emergeva che Andrea BONAFEDE aveva anche fornito a Matteo MESSINA DENARO la disponibilità di almeno due autovetture:

    • una Fiat 500 “Lounge” targata FW 089 LV acquistata da Giuseppa CICIO, madre di Andrea BONAFEDE, in data 27 luglio 2020;
    • una Alfa Romeo Giulietta targata GA 785 KL acquistata il 12 gennaio 2022 sempre da Giuseppa CICIO, la quale consegnava in permuta la Fiat 500 “Lounge” sopra indicata;

    Si deve dunque ritenere, in sintesi, che le condotte di Andrea BONAFEDE non sono state finalizzate solo ad aiutare Matteo MESSINA DENARO ad affrontare la delicata fase della sua malattia ma hanno avuto inizio ben prima di quanto affermato dal BONAFEDE nel suo interrogatorio

    LA VALUTAZIONE DEGLI ELEMENTI INDIZIARI OFFERTI DAL PUBBLICO MINISTERO A SOSTEGNO DELLA RICHIESTA Dl APPLICAZIONE DELLA MISURA CAUTELARE PERSONALE

    La richiesta del Pubblico Ministero sopra riportata delinea, a parere di questo Giudice per le Indagini Preliminari, un quadro indiziario a carico dell’indagato di estrema gravità e, comunque, sicuramente idoneo ad integrare le condizioni di applicabilità della chiesta misura cautelare personale per le ragioni di seguito specificate.

    Prima di affrontare la contestazione formulata dal Pubblico Ministero a carico del Bonafede appare opportuno, però, premettere alcune considerazioni di carattere generale innanzitutto con riguardo al materiale indiziario necessario ai sensi dell’art. 273 c.p.p., per il quale, ancora con recente sentenza dell’8 aprile 2021 n. 16158, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che “ai fini dell ‘adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell ‘indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall ‘art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – giacché il comma 1-bis dell’art. 273 cod. proc. pen. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 del suddetto art. 192 cod. proc. pen” (in termini analoghi si veda anche Cass. 14 marzo 2019 n. 17247). Si vuole dire, in altre parole, che per la valida emissione di una misura cautelare è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine al reato (provvisoriamente) addebitatogli e che, tuttavia, gli indizi devono essere, sì, gravi, ma non necessariamente connotati dai requisiti della precisione e della concordanza, richiesti per il giudizio di merito dall’articolo 192, comma 2, c.p.p. (cfr., in proposito, anche Cass. 24 gennaio 2017 n. 6660).

    E per indizio grave deve intendersi quello che sia pertinente rispetto al fatto da provare, idoneo ad esprimere una elevata probabilità di derivazione del fatto noto da quello ignoto e dotato di un elevato grado di capacità dimostrativa del fatto da provare (v. Cass. 11 giugno 2020 n. 26115) e, quindi, in sostanza, “tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che – contenendo “in nuce” tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e, tuttavia, consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, per mezzo della futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza” (v. Cass. 11 gennaio 2019 n. 17527).

    Ancora in via generale, poi, prima di esaminare più specificamente il materiale indiziario a carico dell’ indagato, occorre formulare alcune ulteriori considerazioni sulla fattispecie di reato contestata che concerne l’associazione di tipo mafioso e, più specificamente, nel caso in esame, l’associazione di tipo mafioso denominata “cosa nostra”, la cui esistenza, pertanto, costituisce il presupposto indefettibile della condotta criminosa contestata.

    Ebbene, l’esistenza di tale organizzazione criminale, che, per numero di aderenti, disponibilità di mezzi ed efferatezza di crimini ha costituito e costituisce, tuttora, sicuramente uno dei più gravi (se non il più grave dei) fenomeni criminali del nostro paese, è rimasta storicamente accertata, sul piano giudiziario, già a seguito della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione il 30 gennaio 1992 nel procedimento contro Abbate Giovanni ed altri, più noto come primo maxiprocesso.

    In sostanza, quindi, è ormai incontestato che esista un’associazione criminale denominata “cosa nostra”, strutturata in maniera unitaria e verticistica, articolata su base territoriale e disciplinata da regole comportamentali rigidamente vincolanti per i suoi aderenti che, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo, opera al fine di porre sotto il suo controllo ogni attività economica lecita o illecita che assicuri ingenti profitti, Con una capacità di infiltrazione in tutti livelli della società che ne aumenta la potenza e, quindi, la pericolosità. Null ‘altro, pertanto, appare necessario aggiungere in ordine a tale organizzazione criminale, la cui esistenza, comprovata ormai dall’esito delle molteplici complesse indagini e dei numerosi processi che hanno consentito a magistratura e forze dell’ordine di acquisire, anche grazie alla preziosa collaborazione di molti “uomini d’onore” dissociatisi dal sodalizio mafioso, specifica ed approfondita conoscenza sulle dinamiche interne e sulle molteplici attività criminose di “cosa nostra”, può annoverarsi nella categoria del “fatto notorio”.

    Quanto, poi, alle contestate circostanze aggravanti di cui ai commi 4 e 6 dell’art. 416 bis c.p., va detto che ancora di recente la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire, relativamente alla prima, che “in tema di associazioneper delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilità di armi, prevista dall’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., è configurabile a carico di ognipartecipe che sia consapevole delpossesso di armi daparte degli associati o lo ignori per colpa, per I ‘accertamento della quale assume rilievo anche ilfatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso” (v. Cass. 7 novembre 2019 n. 50714), e, relativamente alla seconda, che “la circostanza aggravante di cui al sesto comma dell’art. 416-bis cod. pen. che si configura ove le attività economiche di cui gli associati intendano assumere o mantenere il controllo sianofinanziate in tutto o in parte con ilprezzo, ilprodotto o il profitto di delitti ha natura oggettiva e va riferita all ‘attività dell ‘associazione e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe, il quale, nel caso di associazioni cd. storiche come mafia, camorra e ‘ndrangheta, ne risponde per il solofatto dellapartecipazione, dato che – appartenendo da anni al patrimonio conoscitivo comune che dette associazioni operano nel campo economico utilizzando ed investendo i profitti di delitti che tipicamente pongono in essere in esecuzione del suo programma criminoso — un ‘ignoranza al riguardo in capo ad un soggetto che sia ad alcuna di tali associazioni affiliato è inconcepibile” (v. Cass. 1 aprile 2021 n. 23890).

    Ciò premesso, alla luce delle considerazioni e dei principi appena esposti, può essere ora esaminata la contestazione di reato nei confronti di Bonafede Andrea. Ebbene, in termini di fatto, non sembra necessario aggiungere alcunché all’evidenza delle risultanze probatorie esposte dal Pubblico Ministero come sopra già riportate.

    Ed invero, risulta inconfutabilmente accertato, innanzitutto, l’utilizzo da parte del latitante Messina Denaro Matteo dell’identità del Bonafede, il quale, a tal fine, gli ha fornito, direttamente o indirettamente, la propria carta di identità (sulla quale il Messina Denaro ha apposto la propria effige fotografica), la tessera sanitaria (e, quindi, anche il codice fiscale), l’immobile nel quale abitare e le autovetture necessarie per gli spostamenti senza esporsi al rischio di essere individuato dalle Forze di Polizia da molti anni impegnate nella sua ricerca. Ciò premesso in termini fattuali, è necessario, però, soffermarsi sulla qualificazione giuridica dei fatti e delle condotte poste in essere dal Bonafede, muovendo, anche in questo caso, da quanto, in proposito, dedotto dal Pubblico Ministero nella richiesta qui in esame:

    “Le condotte accertate grazie alle indagini della polizia giudiziaria devono essere ricondotte senza esitazione alla fattispecie associativa descritta dall’art, 416 bis c.p.

    Pare, invero, di evidenza lampante che Matteo MESSINA DENARO, collocato ai vertici assoluti della associazione mafiosa da oltre trenta anni e latitante per un periodo quasi altrettanto esteso, non avrebbe potuto rivolgersi ad altri che ad una persona pienamente inserita nel contesto associativo per avere quel prolungato apporto e sostegno che è stato compiutamente delineato dalle compiute e tempestive indagini della polizia giudiziaria.

    Solo un associato che godeva della totale fiducia del latitante poteva infatti essere incaricato di compiti di tale delicatezza, specialmente in considerazione della pressante esigenza, da parte di Matteo MESSINA DENARO, di sottoporsi a terapie mediche di particolare rilevanza.

    A ciò si aggiunga che le condotte di Andrea BONAFEDE si sono protratte certamente per molti mesi: le parziali ammissioni della persona sottoposta alle indagini, alla luce dei preliminari riscontri raccolti, confermano che l’acquisto della abitazione e la cessione di un documento di identità sul quale apporre la propria fotografia risalgono ad un periodo risalente almeno al 27 luglio 2020 (epoca di acquisto della prima autovettura) o comunque al 13 novembre 2020 (epoca del primo intervento subìto da Matteo MESSINA DENARO sotto le mentite spoglie di Andrea BONAFEDE).

    Tali condotte, dunque, non possono essere ricondotte alle fattispecie previste dagli artt. 378 e 390 c.p. ma devono essere ritenute estremamente significative del pieno e consapevole inserimento di Andrea BONAFEDE nel tessuto della associazione mafiosa.

    I fatti accertati sono infatti perfettamente idonei a dimostrare, forse anche oltre la gravità indiziaria richiesta in questa sede, un coinvolgimento nelle dinamiche associative che sarebbe irragionevolmente riduttivo ricondurre al favoreggiamento aggravato o alla procurata inosservanza di pena aggravata.

    E noto, ad esempio, che il ruolo di “autista” costituisce compito estremamente delicato e strategico nell’organizzazione interna di cosa nostra, soprattutto per le esigenze di cautela e protezione dei capi mafia. Ne consegue che — secondo l’id quod plerumque accidit della fenomenologia mafiosa — l’incarico viene assegnato a persone di massima fiducia, in grado di garantire segretezza, sicurezza ed affidabilità degli spostamenti (non pare esagerato definire emblematica la vicenda di Salvatore Biondino, arrestato unitamente a Totò Riina il 15 gennaio 1993).

    Tali considerazioni devono valere a maggior ragione se, come nel caso di specie, si discute di condotte caratterizzate da ancora maggior delicatezza rispetto a quelle dell’autista.

    Il BONAFEDE, infatti, con le condotte descritte nelle pagine precedenti, ha senza dubbio fornito all’associazione mafiosa un contributo continuativo di estrema rilevanza, che va ben oltre quello pacificamente attribuito all’autista.

    L’odierno indagato, come si è detto, ha consapevolmente fornito a Matteo MESSINA DENARO, per oltre due anni, ogni strumento necessario per svolgere le proprie funzioni direttive: identità riservata, un “covo” sicuro, mezzi di locomozione da utilizzare per spostarsi in piena autonomia.

    In tal senso, del resto, è la consolidata giurisprudenza del Supremo collegio. Per tutte, deve essere citata Cass., Sez. 2 – Sentenza n. 18559 del 13/03/2019 Ud. (dep. 03/05/2019) Rv. 276122 – 01, secondo la quale ‘tai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, non è necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi de/ programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che Io stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale. (ln motivazione, la Corte ha precisato che, qualora manchi la dimostrazione dell t inserimento formale del singolo all’interno della cosca, la prova della partecipazione può essere ricavata anche dal compimento di una o più attività significative nell’interesse dell’associazione criminale). Ancor più chiara Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21919 del 04/05/2010 Cc. (dep- 08/06/2010) Rv. 247435 – 01, secondo la quale “integra il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa (e non quello di favoreggiamento personale aggravato ex art. 7 D.L. n. 172 del 1991, conv, in l. 203 del 1991) l’aiuto prestato a favore del massimo esponente di vertice di un ‘organizzazione di tal tipo (nella specie, Cosa Nostra) durante la sua latitanza, consistito in interventi volti sia a garantirgli le cure necessarie a/ suo stato di salute sia a consentirgli il mantenimento della sua capacità gestionale, fungendo da canale per i collegamenti epistolari con altri associati .

    CONSIDERAZIONI SULLA QUALIFICAZIONE GIURIDICA PROPOSTA DAL PUBBLICO MINISTERO

    La condotta ricostruita sinora a carico di Bonafede Andrea si caratterizza, indubbiamente, per collocarsi al limite tra le figure giuridiche della partecipazione all’associazione mafiosa “cosa nostra”, del concorso esterno alla stessa e del favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena aggravati ai sensi dell’art. 416 bisl c.p.

    Questo Giudice, ritiene, tuttavia, che, allo stato, sia pure nei limiti della probatio minor che è propria della fase cautelare, possa condividersi la conclusione del Pubblico Ministero riguardo alla configurazione, in termini di gravità indiziaria, del reato di partecipazione di Bonafede Andrea all’associazione mafiosa facente capo a Messina Denaro Matteo.

    Ed invero, occorre, innanzitutto, evidenziare che la difesa minimizzatrice tentata dal Bonafede allorché è stato sentito subito dopo l’arresto di Messina Denaro (v. verbale in atti del 16 gennaio 2023) è stata già documentalmente — e, quindi, inconfutabilmente — smentita dagli accertamenti investigativi che l’hanno seguita.

    E stato, infatti, accertato che Messina Denaro ebbe ad utilizzare l’identità fornitagli dal Bonafede (se non dal mese di luglio 2020 quando ebbe ad acquistare, a nome della madre ultraottantenne, un’autovettura verosimilmente utilizzata dal Messina Denaro, come si ricava dalla circostanza che la stessa autovettura è stata successivamente data in permuta per l’acquisto di altra autovettura in questo caso sicuramente utilizzata dal Messina Denaro, che, infatti, era in possesso delle relative chiavi) certamente già in occasione del primo intervento chirurgico subìto il 13 novembre 2020 e, dunque, risulta smentito l’occasionale recente incontro col latitante (collocato temporalmente nel 2022) di cui ha riferito il Bonafede medesimo.

    Ma, a prescindere da tale inequivocabile smentita, la medesima tesi minimizzatrice del Bonafede contrasta, all’evidenza, con le regole d’esperienza e con la logica, così derivandone la sua inverosimiglianza.

    Non è, infatti, di certo minimamente credibile che il latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d’Italia, che pure, come dimostrato dalle innumerevoli indagini di questi anni finalizzate alla sua cattura ha potuto sempre disporre di un’ attentissima ed ampia cerchia di soggetti che gli hanno consentito di proseguire la sua latitanza e nel contempo le sua attività di direzione dell’associazione mafiosa “cosa nostra” quanto meno nell’intera provincia di Trapani, si sia ad un certo momento affidato ad un soggetto occasionalmente incontrato, non affiliato e che non vedeva da moltissimi anni, per coprire la sua identità, soprattutto nel momento in cui aveva necessità di entrare in contatto con strutture pubbliche sanitarie (con conseguente elevato rischio di essere individuato come in effetti è poi avvenuto il 16 gennaio 2023), oltre che per acquistare l’immobile ove per un periodo di almeno sei mesi e fino all’arresto ha poi dimorato.

    L’esperienza dell’arresto di tutti i più importanti latitanti di “cosa nostra”, peraltro, insegna che i soggetti di vertice di tale organizzazione, per evidenti ragioni di sicurezza personale, tendono ad escludere dalla conoscenza del “covo” ove da latitanti si rifugiano persino la gran parte degli associati mafiosi, limitando, piuttosto, tale conoscenza ad una cerchia più ristretta e più fedele di coassociati. Ciò, ad esempio, è avvenuto per Riina (il cui “covo” era ignorato persino da Provenzano), per lo stesso Provenzano, per i fratelli Brusca, per i fratelli Graviano e per Bagarella, In tutti questi casi il “covo”, sino al momento dell’arresto di chi l’occupava, è stato conosciuto soltanto da pochissimi soggetti, tutti, comunque, formalmente o di fatto, affiliati all’organizzazione mafiosa per l’ulteriore sicurezza che deriva dal vincolo associativo e dalle note conseguenze per chi lo viola.

    Già sotto questo profilo e per il ruolo di eccezionale rilevanza sia fattuale che simbolica ricoperto da Messina Denaro nell’ambito dell’associazione mafiosa la figura del Bonafede appare, dunque, piuttosto riconducibile a quella dell’affiliato “riservato” al servizio diretto del capo mafia.

    E tale qualifica, ancora in termini di gravità indiziaria, appare confermata dal protrarsi nel tempo della condotta del Bonafede e dalla reiterazione di condotte di diversa tipologia attuate da quest’ultimo per consentire al Messina Denaro, non soltanto di proseguire la sua latitanza, ma, altresì e soprattutto, come detto, ed è ciò che particolarmente rileva, per mantenere il suo ruolo di comando nell’organizzazione mafiosa ben dimostrato dalle molteplici risultanze delle indagini che in questi anni hanno condotto ad innumerevoli arresti di affiliati operanti nel medesimo contesto territoriale della provincia di Trapani, oltre che, da ultimo, al momento dell’arresto del Messina Denaro, dalla sua disponibilità di ingenti risorse economiche che non possono trovare altra spiegazione se non nella detta persistenza del ruolo direttivo ed operativo al vertice dell’organizzazione mafiosa.

    D’altra parte, la Suprema Corte di Cassazione, nell’affrontare la problematica della distinzione delle condotte di partecipazione associativa (o di concorso in queste) da quelle del semplice favoreggiamento personale sia pure con l’aggravante mafiosa, ha avuto modo di affermare che questo secondo caso è configurabile soltanto in presenza di aiuti episodici ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche, mentre si configura il delitto di partecipazione mafiosa nel caso di sistematico apporto di simili condotte finalizzate a garantire la funzionalità dell ‘ organizzazione mafiosa.

    Ci si intende riferire alla sentenza della Corte Suprema di Cassazione del 13 aprile 2018 n. 43249 (ma, in termini analoghi v’è anche Cass. 7 giugno 2013 n. 33243), la quale, infatti, ha conseguentemente qualificato come partecipazione ad un clan camorristico la condotta dell’indagato che aveva con stabilità favorito gli spostamenti del capoclan latitante, aveva messo un immobile a disposizione di quest’ultimo, aveva fornito allo stesso le proprie generalità per la formazione di falsi documenti usati anche per recarsi all’estero, aveva, ancora, messo a disposizione anche un centro di analisi per lo svolgimento di attività sanitarie in forma anonima e, infine, aveva provveduto alle cure a domicilio in favore dello stesso latitante. Si tratta, come si vede, di condotte non dissimili da (ed in qualche caso anzi addirittura sovrapponibili a) quelle poste in essere dal Bonafede che certamente trascendono il mero rapporto personale col Messina Denaro e che sono, dunque, più coerentemente riconducibili ad un apporto di carattere sistematico sorretto dalla piena consapevolezza del ruolo apicale rivestito dal Messina Denaro proporzionata all’entità del fatto ed alla sanzione che potrà essere irrogata all’odierno indagato.

    Per tutte le considerazioni che precedono, devono ritenersi esistenti, nella fattispecie in esame a carico di Andrea BONAFEDE i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari necessarie per l’emissione del provvedimento cautelare in riferimento all’ipotesi delittuosa per cui si procede.

    Non risultano, poi, acquisiti, allo stato degli atti, elementi suscettibili di favorevole valutazione per gli indagati ai sensi dell’art. 292 comma 2-ter c.p.p., né è dato di ricavarli dalla lettura degli atti processuali”

    Sussistono, nel caso in esame, a parere di questo Giudice, specifiche e concrete esigenze cautelari ai sensi dell’art. 274 c.p.p.

    In particolare, sono certamente ravvisabili sia specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede avuto riguardo, da un lato, alla indispensabilità degli ulteriori approfondimenti relativi alla lunga latitanza di Messina Denaro Matteo, al ruolo ancora svolto da quest’ultimo nelle dinamiche che nei medesimi anni hanno caratterizzato la vita dell’associazione mafiosa “cosa nostra” e, quindi, anche al ruolo in quest’ultima svolto dall’odierno indagato sia nell’ambito dell’associazione mafiosa sia nell’ambito delle vicende che lo hanno visto sinora protagonista, con conseguente concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione e genuinità della prova ove l’indagato fosse lasciato libero ancora di operare (basti considerare che non è stato possibile sinora individuare tutti gli immobili nei quali, quanto meno nel più recente periodo in cui ha operato il Bonafede, Messina Denaro Matteo ha trascorso la latitanza, né, nel contempo, individuare le risorse economiche a tal fine impiegate anche, come si è visto, con l’ausilio dello stesso Bonafede); e, dall’altro lato, soprattutto, all’evidente attuale e concreto pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello per il quale si procede ed è stata ravvisata la gravità indiziaria (punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni) tenuto conto, non soltanto, della naturale permanenza del reato di associazione mafiosa, ma anche della conseguente connaturata commissione anche di innumerevoli reati tutti propri dell’ordinaria attività di “cosa nostra”. Ed in proposito, avuto riguardo al prolungato ruolo svolto dal Bonafede a vantaggio del più importante esponente mafioso della consorteria mafiosa, appare irrilevante, ai fini della valutazione delle esigenze cautelari, che il Messina Denaro sia stato nel frattempo arrestato, dal momento che l’ampiezza del contributo nell’organizzazione mafiosa (perché ormai noto in tutto il mondo per gli innumerevoli servizi di informazione che si sono succeduti in tutti i media nei lunghissimi anni della latitanza di quest’ultimo), oltre che, ovviamente, della condizione di latitanza inevitabilmente funzionale all’attività illecita collettiva propria dell’associazione mafiosa.

    Si è in presenza, in sostanza, sia pure, si ripete, in termini di gravità indiziaria che rilevano nella presente fase cautelare, di un’affiliazione verosimilmente riservata del Bonafede per volontà del Messina Denaro quanto meno perfacta concludentia, non essendo, d’ altra parte, come è noto, sempre necessaria una manifestazione formale o rituale dell’affiliazione medesima (cfr., sul punto, tra le tante, Cass. Sez. Un. 12 luglio 2005 n. 33748).

    Nel senso sopra indicato, d’altra parte, depone la circostanza che il Bonafede ha un’estrazione familiare compatibile con il ruolo di partecipe dell’associazione mafiosa (e che, allo stesso tempo, spiega perché Messina Denaro Matteo si sia potuto a lui rivolgere), dal momento che egli è nipote (figlio del fratello) del noto Bonafede Leonardo, già “reggente” proprio della “famiglia” mafiosa di Campobello di Mazara che ha protetto, quanto meno negli ultimi anni, la latitanza del medesimo Messina Denaro Matteo consentendogli di svolgere appieno il ruolo di capo indiscusso della consorteria di “cosa nostra” operante nella provincia di Trapani.

    La sistematica e non episodica condotta del Bonafede sopra descritta ha, in concreto, fornito un apporto di non certo secondaria importanza per le dinamiche criminose dell’associazione mafiosa operante nella provincia di Trapani, avendo il Bonafede così consentito al Messina Denaro, non soltanto di mantenere la sua latitanza, ma soprattutto, anche mediante la sua presenza nel territorio, di continuare ad esercitare il detto ruolo direttivo dell’organizzazione mafiosa.

    In conclusione, pertanto, devono ravvisarsi a carico del Bonafede gravi indizi riguardo alla sua duratura e consapevole compartecipazione, quanto meno di fatto, all’associazione mafiosa facente capo a Messina Denaro Matteo.

    LE ESIGENZE CAUTELARI E LA SCELTA DELLA MISURA CAUTELARE DA APPLICARE

    In proposito il Pubblico Ministero ha svolto le considerazioni qui di seguito riportate:

    “È indiscutibile, nella specie, anche la sussistenza delle specifiche esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. a), b) e c) c.p.p., la cui oggettiva valenza ed indiscutibile gravità, sia singola che complessiva, non può che portare all’accoglimento della presente richiesta. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, i criteri direttivi di cui all’art. 275 c.p.p. fanno ritenere in ogni caso adeguata la più gravosa misura custodiate, che appare la più fornito dal Bonafede al massimo livello dell’organizzazione, unitamente alla sua totale disponibilità e dedizione, inducono a ritenere (o quanto meno non escludere: v. quanto si dirà di seguito a proposito della presunzione) che il medesimo indagato possa reiterare ulteriori analoghi apporti in favore dell ‘ organizzazione medesima.

    D’altra parte, sussiste, nel caso in esame, salvo prova contraria, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari (oltre che, come si dirà, di adeguatezza della custodia cautelare in carcere), di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p., disposizione, comunque, da ritenersi prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 c.p.p. (v. tra le tante, Cass. 18 dicembre 2020 n. 4321) poiché si procede per il reato di associazione di tipo mafioso.

    Ciò, come detto, salvo “prova contraria” o, meglio, più precisamente, salvo che emergano elementi di segno contrario, che, tuttavia, non è dato ravvisare negli atti posti all’esame di questo Giudice (in proposito, si veda, anche in questo caso tra le tante, Cass. 23 ottobre 2020 n. 36891, secondo cui, appunto, “in tema di custodia cautelare in carcere, l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. pone una presunzione relativa di pericolosità sociale che determina, in chiave di motivazione delprovvedimento cautelare, la necessità, non già di dar conto della ricorrenza dei “pericula libertatis”, ma solo di apprezzarne le ragioni di esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti”).

    Quanto, poi, alla scelta della misura e, quindi, alla valutazione della idoneità di questa in relazione alla natura ed al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, a prescindere dalla evidente inidoneità di tutte le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, in considerazione della particolare pregnanza delle esigenze cautelari sopra delineate in relazione alla pervasività degli interessi dell’organizzazione mafiosa che con le condotte delittuose anche l’odierno indagato di fatto ha tutelato, deve ugualmente ribadirsi, perché dirimente, che il titolo cautelare concerne la gravità indiziaria di colpevolezza per reato di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p. (associazione di tipo  mafioso), per il quale, come già sopra evidenziato, è sancita la “doppia” presunzione relativa sia di sussistenza delle esigenze cautelari, sia di adeguatezza della custodia in carcere, prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p., e, dunque, da applicarsi necessariamente anche in questo caso salvo che siano acquisiti elementi (nella fattispecie non rilevabili in alcun modo dagli atti) dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure (compresa quella degli arresti domiciliari’pur con le procedure di controllo – braccialetto elettronico di cui all’art. 275 bis comma 1 c.p.p. comunque inidonee ad assicurare l’effettivo isolamento richiesto nella fattispecie dalle esigenze cautelari prima esposte).

    Peraltro, è appena il caso di sottolineare come la misura della custodia cautelare in carcere sia certamente proporzionata non solo all’entità e gavità dei fatti, ma, nel contempo, alla sanzione che, in caso di condanna, si ritiene che potrà essere irrogata per il reato qui contestato senza che possa in alcun modo ipotizzarsi, per la gravità dello stesso come sopra delineata e per la previsione edittale di legge, che potrà essere concessa la sospensione condizionale della pena o che nel caso di condanna potrà irrogarsi una pena detentiva non superiore a tre anni.

    P.Q.M.

    ordina agli ufficiali e agli agenti della polizia giudiziaria di procedere alla cattura di:

    BONAFEDE Andrea, nato a Campobello di Mazara (TP) il 23 ottobre 1964, e di condurre immediatamente il medesimo in un istituto di custodia con le modalità dettate dall’art. 285 comma 2 c.p.p., per ivi rimanere a disposizione di questo ufficio.

    Dispone che, a cura della polizia giudiziaria incaricata di eseguire I ‘ordinanza, sia consegnata, altresì, copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario perché provveda agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p. Manda alla Cancelleria di trasmettere immediatamente la presente ordinanza, per l’esecuzione, al Pubblico Ministero che ha richiesto la misura.

    Manda alla Cancelleria per gli ulteriori adempimenti di competenza. Palermo, 23 gennaio 2023

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